Aveva creduto al coraggio congiunto all’intelligenza, ed è questo appunto ciò che chiamava forza. In suo nome, si è volto il coraggio contro l’intelligenza; e questa virtù che fu veramente sua si è così mutata nel suo contrario: la violenza dagli occhi accecati. Aveva confuso libertà e solitudine, secondo la legge di uno spirito fiero. Eppure la sua “solitudine profonda del meriggio e di mezzanotte” s’è perduta nella folla meccanizzata che ha finito per straripare sull’Europa. Difensore del gusto classico, dell’ironia, della frugale impertinenza, aristocratico che ha saputo dire che l’aristocrazia consiste nel praticare la virtù senza chiedersi perché, e che si deve dubitare di un uomo che abbia bisogno di ragioni per serbarsi onesto, smanioso di dirittura (“quella dirittura fattasi istinto, passione”), servitore pertinace di quella “equità somma della suprema intelligenza cui è nemico mortale il fanatismo”, trent’anni dopo la sua morte il suo stesso paese lo ha eretto a precettore di menzogna e di violenza, e ha reso odiosi concetti e virtù che il suo sacrificio aveva fatti ammirevoli. Nella storia dell’intelletto, fatta eccezione per Marx, l’avventura di Nietzsche non ha equivalenti; non avremo mai finito di riparare l’ingiustizia che gli è stata fatta.

Albert Camus, L’uomo in rivolta