Matteotti fu ucciso perché tentò di ottenere l’invalidazione delle elezioni. Era stata la sua risposta al provocatorio discorso con il quale il 30 maggio Mussolini aveva lasciato stupefatta l’opposizione chiedendo alla Camera l’approvazione in blocco di parecchie migliaia di leggi. Il presidente del Consiglio aveva inoltre domandato la cancellazione dall’ordine del giorno, di nuovo in blocco, delle numerose istanze concernenti le illegalità commesse durante la campagna elettorale (si parlava di circa un milione di violazioni della legge). In risposta Matteotti improvvisò un discorso breve ma coraggioso, rumorosamente interrotto un centinaio di volte nel tentativo concertato di farlo tacere. Il leader socialista illustrò particolareggiatamente come le elezioni fossero state vinte solo con la frode e la violenza, e come soltanto una minoranza degli elettori avesse avuto la possibilità di votare liberamente. Non solo, ma ora Mussolini dichiarava alla Camera che se il voto gli fosse stato contrario, egli non ne avrebbe tenuto il minimo conto. Mentre Matteotti parlava, Mussolini non riusciva a tenere a freno la collera. Matteotti era già stato ripetutamente aggredito dgali squadristi, ed il giornale di Mussolini gli aveva minacciato qualcosa di peggio se non fosse rimasto tranquillo. Il leader socialista disse ad amici inglesi di sapere che la sua vita era in pericolo, ma che aveva il dovere di spiegare al mondo che il fascismo continuava ad esistere soltanto attraverso il terrore e la corruzione finanziaria su vastissima scala. Accuse del genere, lanciate da un leader parlamentare responsabile, avrebbero certo sollevato dubbi sulla legittimità del regime, ed incrinato quell’impressione di larga adesione popolare che i fascisti si davano tanta pena di creare. Cosa ancor più pericolosa, Matteotti aveva preparato un ampio e particolareggiato dossier sui delitti fascisti, basato su elementi attinti esclusivamente a fonti fasciste. E si sapeva che traduzioni di questo dossier erano in preparazione in Belgio e in Inghilterra. Mussolini non poteva permettere che un singolo deputato gli barrasse la strada, ed esortò pubblicamente i suoi bravacci a passare ad azioni più concrete. Quel che aveva in mente può ricavarsi da altre sue battute, pronunciate privatamente nella stessa epoca a proposito di avversari in vista: “dagli una lezione”; farlo “scomparire clandestinamente ma definitivamente”; “ai provocatori come Matteotti si può soltanto rispondere a colpi di rivoltella”. Ed ancora: “levatemelo dai piedi”; “quello era un uomo da accoppare”; “avrebbe meritato qualcosa di più tangibile”. L’esperienza passata aveva insegnato a Mussolini che all’udire parole del genere i più zelanti tra i suoi pretoriani si sarebbero mossi alla svelta, impartendo alla vittima designata un castigo adeguato.

Denis Mack Smith, Mussolini